Durello: utopia o nuova frontiera?

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Ho risposto con piacere qualche giorno fa all’invito di Nicola Dal Maso nella bella cantina a Selva di Montebello, per un incontro dal titolo forte, “Durello: utopia o la nuova frontiera?”

La domanda mi ha stupito, perché sono tra quelli che ha vissuto gli ultimi vent’anni della denominazione Lessini Durello ch’è relativamente giovane (nasce nel 1987).

Mi viene da pensare che una simile domanda forse se la dovevano porre i pochissimi produttori che con convinzione puntarono sul Durello spumante e crearono la denominazione, oppure i vertici del Consorzio di tutela nato una decina di anni dopo. 

Ma così probabilmente non poteva essere.

Difficile prevedere allora che cosa sarebbe successo in questo piccolo lembo di ettari vitati - oggi circa 400 - posti sui versanti collinari della Lessinia, tra Verona e Vicenza.

È successo un miracolo, qui. Un’uva sconosciuta ai più, la durella, l’antica “durasena”, dall’acidità che letteralmente “tagliava il palato” in rustiche versioni ferme, è diventata protagonista della quinta denominazione spumantistica italiana. 

I produttori sono saliti oggi a 34 e, come ha ben ricordato il direttore del Consorzio Aldo Lorenzoni, la denominazione Lessini Durello è tra le poche che si sono progressivamente spogliate, con modifiche al disciplinare, di vini superflui per accogliere progressivamente solo le versioni con le bollicine, come previsto proprio nell’ultima modifica in via di approvazione.

Forse è proprio oggi che la domanda forte acquista il suo senso più profondo: crediamo ancora nel Durello? E se sì, quale sarà il suo futuro?

Proprio partendo dall’interessante degustazione che Nicola Dal Maso ci ha offerto, (8 Metodo Classico tra Champagne, Franciacorta, Trento e Durello – tra cui due prove di sboccatura del suo prossimo Durello Riserva 2015), tento di dare, in fondo a questo pezzo, la mia personalissima risposta.

Note alla degustazione dei vini  (condotta da Nicola Frasson - Gambero Rosso)

 Moët & Chandon Brut Imperial (pinot nero 40%, pinot meunier 30%, chardonnay 30%) . Lievitoso, sblanciato in bocca tra un inizio dolce un po’ grossolano e un finale amaro.

 Billecart Salmon Brut Reserve (pinot noir, pinot meunier, chardonnay di tre annate diverse). Fresco, floreale elegantissimo, bocca nitida con ottima acidità. 

 Cà del Bosco Franciacorta Vintage Collection Dosage Zero 2014 (chardonnay 65%, pinot bianco 13%, pinot nero 22%).  Molto ampio al naso, saporito; sento molto lo chardonnay e avverto molto il vanigliato, ma il tutto è molto elegante. 

 Tenuta Corte Giacobbe (Dal Cero) Lessini Durello Riserva Dosaggio Zero 2013 Cuvée Augusto naso Intenso, pulito, bocca ampia, sapida e  lunga. Un Durello “modello Champagne” in tutti i sensi: matura in botti di rovere e di rovere e barriques. È assemblato con “vin de reserve” e affina in bottiglia per minimo 50 mesi e dopo il degorgement minimo altri 6 mesi. Modello di Durello complesso e, almeno per il mio palato, ancora difficile da decifrare.

Ferrari Trentodoc Perlé Zero Cuvée Zero11 cuvéè di chardonnay di diverse annate affinati in acciaio, legno e vetro. Prende il nome dall’anno della messa in bottiglia. Viene lasciato sui lieviti minimo per 6 anni. Naso sottile, fresco e vanigliato, in bocca molto verticale e fine, su toni di frutta esotica ed erbe balsamiche. Eleganza.

 Dal Maso Prova di sboccatura di Durello Metodo Classico 2015 con 7 g/l di zuccheri. Ottima freschezza, floreale al naso, intenso e piacevole al palato, con acidità in rilievo ma ben calibrata. Finale sapido e di buona persistenza. Io e molti altri abbiamo detto immediatamente “È un Durello!”.

 Dal Maso Prova di sboccatura di Durello Metodo Classico 2015 Pas dosé Anche qui grande freschezza al naso, intessuta da un lieve tocco vanigliato, l’acidità della durella è molto in primo piano ma il vino in bocca è già piuttosto armonico e appagante con un finale lungo e sapido. Di grande stoffa.

 Louis Roederer Champagne Blanc de Blancs 2011 - Stile molto particolare in questa bottiglia: eleganza, cremosità, è avvolgente e sottile sul palato, con note di nocciola e mandorla in evidenza, finale fresco e salino.

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 La mia risposta alla domanda di Ncola

 “A metà anni Novanta – ha ricordato Nicola Frasson - si provava a fare spumante da pinot nero un po’ dovunque, ora tutti fanno Metodo Classico e tendenzialmente pas dosè”. 

La spumantistica quindi “tira” e nascono aziende e zone che girano attorno alle bollicine.

 In questo senso, credo che il Lessini Durello (come si chiama ancora oggi) abbia rappresentato con la sua storia una BELLA UTOPIA, realizzata, almeno in parte.

A differenza delle altre importanti zone spumantistiche italiane (Franciacorta, Trento, Oltrepò, Alta Langa) che usano varietà internazionali, qui si è avuto il coraggio di scommettere su un’uva autoctona naturalmente vocata per la produzione di bollicine ( mantiene la sua grande acidità anche quando è vendemmiata molto matura). 

Perché dico ch’è un ‘utopia realizzata ma non del tutto? Perché il Durello Spumante, mantiene una dicotomia produttiva che le altre zone spumantistiche italiane d’eccellenza non hanno. Nessuna delle denominazioni che ho citato si sogna di produrre anche l’alternativa al Metodo Classico con la versione charmat (o metodo italiano, che dir si voglia). Qui sui Lessini, per vari motivi, non ultimo quello di essere una denominazione del Veneto, dove abbiamo “Corazzata Prosecco”, la valorizzazione assoluta dell’uva durella per il Metodo Classico non c’è stata.

Che il Metodo Classico da durella meriti una valorizzazione assoluta, ce l’ha dimostrato molto bene e ancora una volta un confronto con altre interpretazioni territoriali.

Abbiamo assaggiato dei Durello Metodo classico di grande personalità, a loro modo unici.

Smettiamola pure di dire che non sfigurano. Sono altro, e si sente.

E dove sta la nuova frontiera? Assodato che del metodo charmat – ahimè – non ce ne libereremo più, assodato che dovremo chiamare Lessini Durello proprio la bollicina in questa versione, resta da giocare la carta dei MONTI LESSINI, il Metodo Classico.

La nuova frontiera sarà non aver paura di spingere su questo vertice qualitativo, cercando se non di invertire, almeno di pareggiare la quota, che è oggi all’incirca di 80 – 20 per cento per le due produzioni, di charmat e metodo classico, che arrivano complessivamente a un milione di bottiglie. 

Il Monti Lessini può farcela a raggiungere almeno questo traguardo, grazie a giovani appassionati come Nicola, che ci ha accolto e ha stimolato le nostre riflessioni per capire, lui per primo, che direzione prendere.

La sua rotta è segnata: ha deciso di sboccare circa 4000 bottiglie di Durello Riserva Pas Dosè (che saranno disponibili a breve), ma aumenterà la produzione di Metodo Classico rispetto alla versione charmat. Io ho un presentimento: quest’ultima diventerà gradatamente prossima allo zero.

Grazie Nicola, hai coraggio, e sarai ripagato. Dimostri anche di tenere bene a mente quella certezza di cui ha detto Fabio Piccoli durante la degustazione: “Se pensate che i consumatori passino facilmente dal Durello Metodo Charmat al Metodo Classico, siete in errore, non è così”. Insomma, sono due campionati diversi. Ai produttori scegliere in quale giocare, arrivati a un trentennio buono dall’inizio del loro percorso.

Post Scriptum - Direi che aveva ragione l’amico Fabio Giavedoni di Slow Wine che qualche anno fa mi invitò a degustare alla cieca alcuni Metodo Classico prodotti da chardonnay e pinot nero in diverse zone italiane. “Alla cieca - disse - si fa molta fatica indovinare da quale territorio vengono.”  Anche ieri ne ho avuto la prova. Ho beccato un paio Champagne e di Durello, ma non avrei saputo dire quale fosse il Franciacorta o quale il Trento, entrambi dosaggio zero.